Il termine autostima si riferisce alla valutazione che un individuo fa del proprio valore, ovvero il modo in cui giudichiamo noi stessi. Possiamo dire che abbiamo un’alta autostima quando ci sentiamo bene nei confronti di noi stessi nell’ambito dell’aspetto fisico o dell’intelligenza e così via.
Secondo Tory Higgins l’autostima può essere definita dal grado di sovrapposizione o scarto tra il come si è e come si vorrebbe essere. In altre parole secondo la sua teoria della discrepanza del sé le persone valutano sé stesse facendo riferimento a dei valori interni “ideali” o “imperativi”: i primi sono valori che si riferiscono alla persona che si vorrebbe essere, i secondi fanno riferimento alla persona che ognuno di noi pensa di dover essere. Secondo l’autore le persone possono andare incontro a delle difficoltà nei casi in cui si verifichi una discrepanza tra questi canoni: se vi è una discrepanza con il sé ideale, l’individuo potrà sperimentare delusione, tristezza, frustrazione e, in casi estremi, depressione. Nel caso di una discrepanza con il sé imperativo, si potrà sperimentare colpa, risentimento, imbarazzo e, in casi estremi, disordini legati all’ansia. L’autostima, dunque, risulta essere un costrutto psicologico importante che sembra essere correlato a una grande varietà di variabili psicologiche positive, tra cui adattamento psicologico, emozioni positive, comportamento prosociale e soddisfazione della vita. Un alto livello di autostima fornisce alle persone la capacità di accettare momenti felici, di gestire situazioni spiacevoli, di affrontare efficacemente le sfide, di impegnarsi in relazioni strette e di migliorare i propri punti di forza. Si ritiene inoltre che un’elevata autostima possa moderare positivamente l’espressione di schemi disfunzionali e sintomi depressivi quando si fa esperienza di eventi di vita negativi.
Al contrario le persone con una bassa autostima sono individui la cui propria autovalutazione è neutrale, con una autoconcezione incerta e confusa, persone altamente suscettibili e dipendenti dagli stimoli esterni e la cui propria percezione sociale e comportamento riflettono un orientamento conservativo. Si tratta di una condizione che è frequentemente associata a una vulnerabilità verso diversi disturbi psichiatrici, in particolare ai disturbi depressivi, disturbi alimentari e da uso di sostanze.
A seguito di queste scoperte, negli ultimi anni diverse studi si sono concentrati sulla ricerca dei modi per raggiungere un sufficiente livello di autostima in grado di garantire un maggiore benessere individuale. Nello specifico diversi ricercatori si sono concentrati sullo studio della mindfulness come mezzo per aumentare l’autostima.
Il termine mindfulness è una parola inglese che indica uno specifico stato mentale, ossia quello della consapevolezza che nasce grazie allo spostamento dell’attenzione verso l’esperienza del momento presente in modo non giudicante. Si tratta di un concetto fondamentale della tradizione buddhista in quanto essa si trova all’interno del percorso indicato dal Buddha diretto alla liberazione dalla sofferenza che, però, venne introdotto in occidente grazie agli studi del biologo molecolare Kabat-Zinn. Egli verificò gli effetti positivi di questa pratica in ambito ospedaliero in pazienti affetti da dolore cronico con l’obiettivo di dimostrare la sua utilità nei casi di stress, sofferenza e malattia, arrivando a sviluppare un programma chiamato Mindfulness-based stress reduction (MBSR). Secondo l’autore grazie a questo intervento i pazienti potevano riuscire ad apprendere come vivere con il dolore cronico attraverso lo sviluppo della capacità di osservare le sensazioni nel corpo come semplici sensazioni. In più, sempre secondo Kabat-Zinn, il caso del dolore cronico ne era una esemplificazione emblematica, ma ciò che accadeva con le sensazioni corporee dolorose, poteva accadere anche con le emozioni negative o con i pensieri ripetitivi e automatici.
Recentemente, dunque, diversi autori hanno dimostrato come la mindfulness possa essere d’aiuto nell’aumento dell’autostima in quanto l’assunzione di questo stato mentale da avvio ad un processo di sperimentazione dei propri pensieri ed emozioni da una prospettiva decentrata. Ciò permetterebbe la modifica della propria relazione con il contenuto dell’esperienza del momento presente, per cui il praticante diverrebbe in grado di esperire le proprie esperienze come semplici eventi mentali nel contesto più ampio della propria consapevolezza piuttosto che identificarsi con essi. In altre parole nello stato di mindfulness i pensieri possono essere visti come eventi che passano nella mente piuttosto che come aspetti intrinseci del sé o come riflessioni necessariamente valide della realtà. Questo stato, infatti, facilita il disimpegno da una valutazione stabilita dallo stress e da schemi di pensiero negativi e promuove valutazioni e modelli di pensiero adattivi.
In questo senso, secondo ricerche recenti, gli individui che presentano alti livelli di mindfulness hanno minori possibilità di essere “consumati” da pensieri ed emozioni che caratterizzano la bassa autostima. Al contrario la pratica di mindfulness consente agli individui di trascendere gli schemi e le credenze sul sé negative e permette, invece, di concentrare la propria attenzione sul momento presente in maniera non giudicante.
Mind Lab Staff